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Il video-messaggio che B. pare abbia gia’ registrato per salutare i suoi fan la dice lunga sulle sue intenzioni. A sentire lui, il problema e’ stata la “fronda” dei Finiani che hanno indebolito la maggioranza dal 2010. Alfano ha gia’ detto che B. non andra’ ai giardinetti, ma continuera’ ad essere il leader del PdL. Ieri B. ha messo in chiaro che il suo partito puo’ staccare la spina (sic)  in qualunque momento al governo Monti.

 

C’e’ ben poco da festeggiare. B. e’ dovuto indietreggiare temporaneamente per le pressioni internazionali ormai non piu’ ignorabili. La folla che festeggiava ieri sera al Quirinale non e’ misura degli umori del paese. Era la stessa folla che ha chiesto le sue dimissioni molte volte in passato e sempre con risultati irrilevanti. Questo governo (cioe’ il governo Monti) fa infatti probabilmente comodo a B. Dovra’ implementare misure punitive e le paventate “riforme lacrime e sangue”, scontentando praticamente tutti (e infatti il grande problema di Monti sara’ riuscire a governare). Il malcontento a questo punto – d’altronde la legislatura deve resistere solamente un annetto, fino al 2013 – sara’ cavalcato come sempre sia da Berlusconi che dalla Lega. E’ del tutto irrilevante, a queste condizioni, che B. si ricandidi o meno. La sua eventuale presenza come front-man del PdL, per l’ennesima volta, potrebbe guadagnare al suo polo qualche punto percentuale, ma anche se rimarra’ dietro le quinte, sara’ lui a guidare  Alfano – che e’ ormai stato ufficilamente incensato come suo successore – e le sue strategie elettorali. Il punto e’ che il malcontento generale si tradurra’ in un rafforzamento dei movimenti con tendenze (o, nel caso della Lega, con identita’) populiste. La capacita’ del Pd di basarsi sul malcontento per ottenere una vittoria alle prossime elezioni dipendera’ interamente dalla sua capacita’ di presentarsi come alternativa credibile al PdL o al terzo polo, con un leader legittimato dal sostegno della base. Stesso discorso vale per il terzo polo, i moderati cattolici e i liberali.

C’e’ un gran parlare al momento della necessita’ e dell’opportunita’, in questo momento storico, di rifondare il paese, di ripartire, di ricostruire la politica. Quello che io vedo all’orizzonte (almeno quello che vedo con certezza, per le sorti del Pd e del terzo polo non so dire) e’ invece un rafforzamento delle tendenze populiste. Tanto piu’ che, se il governo Monti rappresenta, come si sente spesso in questi giorni, il commissariamento della politica (peraltro ad opera dell’UE), c’e’ un fondo di verita’ e di preoccupazione condivisa alla base degli argomenti di chi si interroga sulla “democraticita’” di cio’ che sta accadendo. Come continua a ripetere Sartori dalle pagine del Corriere, non c’e’ niente di incostituzionale nei cosiddetti “ribaltoni”, ne’ nei governi tecnici, a patto che siano approvati dal Parlamento. Il problema e’ piuttosto a monte e sta nel fatto che le decisioni di questi giorni sono state determinate fondamentalmente non dallo stato della nostra economia, ma dalla percezione dei mercati della stessa. Monti e’ quello che ci vuole al momento, perche’ e’ uno che conosce le regole del gioco. Il problema dell’Italia al momento e’ soprattutto l’assenza di fiducia dei mercati. Se riesce a governare, Monti dovrebbe riuscire almeno a dare alla nostra economia un po’ di respiro da questo punto di vista. Se poi riesce anche ad implementare quelle riforme strutturali che economisti vari ci dicono essere necessarie per la crescita da almeno vent’anni, tanto meglio. Meglio ovviamente per il sistema cosi’ com’e’. Dire ad alta voce che il sistema cosi’ com’e’ evidentemente non funziona a quanto pare e’ ancora taboo.